William Casotti / Paese Nostro n.3

La settimana dal 14 al 19 aprile scorso è stata di grande impegno “cinematografico” per una settantina di noi cavriaghesi, uomini e donne, non più in tenera età. Si doveva rispettare un rigido calendario di lavoro, preparato diligentemente da Letizia e da Paolo del Centro Culturale, per dare ”una mano” a girare un film. L’organizzazione tecnica, a cura della Editrice Cinematografica I Cammelli, diretta dal regista Daniele Segre, non dà un momento di tregua, di respiro. Si incomincia presto, alle otto e mezza del mattino, tutti in teatro, a turno, con orari stabiliti in anticipo, per registrare o scene di gruppo o interviste individuali. Sembra tutto facile. Invece no! Siamo sì volenterosi, ma decisamente indisciplinati.
Si gira: scene ripetute una, due, tre, anche dieci volte, fino a quando il regista non le ritiene perfette. Non si capiva mai quando potevano esserlo. Secondo il nostro giudizio andavano bene anche la prima volta, ma purtroppo non era mai così. La più faticosa è stata senza dubbio quella di gruppo in cui ognuno teneva un mattone in mano appoggiato su una spalla. Che disastro!
Daniele non è mai contento: “Rosina vieni più avanti! No! Adesso è troppo! Vai più indietro! Ecco, brava, stai dove sei adesso!”. Oppure: “Renza stai ferma! Non muoverti quando si gira!”.
La scena non è ritenuta valida. non va bene, se ne fa un’altra. Poi ancora: “Mi raccomando, Pierino, quando l’operatore ti passa davanti devi guardare dentro l’obiettivo, non ti devi distrarre, non devi guardare da un’altra parte!”. E Pierino di rimando: “Mò lalù al gha dal bali, mè guardeva giust!”.
Poldein, Macaia e la Nera parlano di continuo, si sono improvvisati cerimonieri della situazione. “Silenzio! Silenzio!” – grida Daniele – si gira!”. Di fronte a queste magiche parole, nessuno fiata più. Non parliamo poi delle prove d’orchestra, un lavoraccio! Ore e ore di prove. Ma quello che ci incoraggia, noi improvvisati attori, è lo speciale e ‘ruffiano’ incoraggiamento del regista: “Forza ragazzi siete meravigliosi! Questa è l’ultima”.
Poi avanti con le altre dieci prove! Così tutti i giorni, per una settimana. Semplicemente straordinario!
Ma il disagio maggiore che si è dovuto affrontare, credo per tutti. è stato assecondare il simpaticissimo regista, sull’uso del dialetto. Daniele s’è messo in testa chissà perchè che si devono registrare le interviste individuali in dialetto. Un disastro. Il dialetto da noi lo si parla spesso, quindi semplice è accogliere la proposta. Ma nella pratica non è stato proprio così. Durante l’intervista anzichè concentrarsi sulle cose da dire, tutta l’attenzione si spendeva sulla costruzione della frase in dialetto.
Un esercizio veramente difficile. Provare per credere.
Ma con la pazienza dei nostri interlocutori e grazie alla indiscussa “professionalità” di noi protagonisti, le registrazioni si sono compiute. Non vi dico quante volte è stato necessario rifare pezzi d’intervista in dialetto: le nostre singole storie si dovevano raccontare in dialetto ‘cuariaghin’. Non c’è nessuna tolleranza, Daniele vuole così, e così è stato fatto! E con questo ritmo e in questo gioioso ambiente si è “lavorato” tutta la settimana.
Sabato pomeriggio, alle ore 16 nel cortiletto del teatro Novecento, festa grande con “attori” e operatori della Cinematografica “I Cammelli”, più qualche passante occasionale. Si mangia: salame affettato abbastanza grosso da Macaia, il “tipico grana”. torta di riso, lambrusco e qualche coca cola.
Non mancava il cocktail delle grandi occasioni. Mi dimenticavo: c’era anche il gnocco fritto, ma è arrivato sulla mensa. per un disguido organizzativo con un po’ di ritardo. E’ stato ugualmente apprezzato. Al termine un caloroso abbraccio e un arrivederci a settembre per “gustarsi” il documentario. E qui mi corre l’obbligo di ricordare chi fra i settanta protagonisti della costruzione del teatro mancava e chi non è più tra noi: Luigi Emore Gilli, Diano Francescotti e Albo Partisotti che ricordiamo tutti con affetto.
Ma questa settimana passata a fare un lavoro per noi insolito, non è stata solo piena di giornate allegre. Oltre a questo, che è già un piacere, ha anche significato qualcos’altro, che forse pochi di noi potevano prevedere succedesse dopo tanti anni: il ricordare, tutti assieme, quella esperienza straordinaria e forse irripetibile, ha evidenziato con forza l’attualità e la giustezza dei messaggio che quell’iniziativa dei lontani anni cinquanta voleva riaffermare: la validità permanente di determinati valori, allora fortemente presenti, di solidarietà e di socialità, valori che oggi purtroppo (speriamo di no!) sembrano essersi indeboliti.
Il dialogo interpersonale si è affievolito, ognuno pensa per sé, ognuno è inchiodato davanti al proprio televisore e chiude il mondo fuori casa. Molti di noi, pur abitando tutti a Cavriago, non hanno avuto occasione di parlarsi da diversi anni. Con questa esperienza “cinematografica” in un attimo abbiamo annullato decenni di distacco e ci siamo ritrovati subito tutti nel pieno del racconto, dei ricordi, dei piccoli eventi legati a quella esperienza di costruzione del teatro. Ma non solo il Teatro era presente nel nostro “chiacchierare”, c’era l’impegno per la ricostruzione del paese dalla guerra dopo la lotta di liberazione dai fascisti, c’erano le lotte sociali e politiche, le tante battaglie per la democrazia e le scelte di civiltà negli anni cinquanta e sessanta, combattute da tutti. uomini e donne, assieme, gomito a gomito, con posizioni anche differenti, ma con tanto senso di solidarietà, con un forte sentire comune.
Mi sembra che in quella settimana “cinematografica” si sia annullato d’un colpo quel “distacco involontario” durato per anni. Esperienza meravigliosa vissuta da tutti con gaiezza e senso cameratesco. Viene subito da chiedersi se questi sentimenti, queste belle sensazioni, siano da catalogarsi tra le nostalgie, tra i ritorni al passato. La mia risposta è no! Guardo in altra direzione: al passato non si ritorna, anzi non si deve ritornare. E’ invece necessario, se vogliamo seguire il progresso e favorire l’evolversi della nostra società, guardare sempre in avanti, ambire a nuovi obiettivi e a nuovi traguardi e che la “gente” sia al centro dei nostri progetti. L’aver rilanciato Novecento, per esempio, è una risposta a questo bisogno di rinnovamento. Ma la memoria storica impone di ricordare sia a noi del “passato” che a quelli del “presente”, ma ancor più a quelli del “futuro”, che senza bandire il gretto individualismo e senza far propri valori di solidarietà, di impegno sociale, di rispetto delle diverse culture e di consolidamento delle regole della democrazia, non ci potrà essere quel necessario ed urgente processo innovativo della nostra società.